La politica non è una questione personale

Personale politico
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“Il personale è politico” è la frase che forse più si sente all’interno dei movimenti femministi e delle lotte contro qualsiasi tipo di discriminazione. Giustamente, questo motto ha portato alla luce problemi reali e concreti che prima rimanevano solamente nella sfera privata, dando loro la possibilità di essere al centro di politiche e soluzioni collettive. L’esperienza personale è divenuta con gli anni sempre più una questione di cui si dovrebbe parlare per fare in modo che, in futuro, altre persone non abbiano più bisogno di lottare per superare e normalizzare determinati aspetti, ma spesso essa si è presa uno spazio troppo centrale all’interno di un discorso che deve risultare, invece, globale. Il privato è così diventato una faccenda di cui si deve discutere in tutti gli ambiti – politici e non: non ci può essere politica che non guardi ai diritti sociali e umani di tutt3, e (per ora) non ci può essere società senza una visione politica. In questo contesto, la propria esperienza deve essere ben calibrata sia sulla situazione collettiva che sul problema vero e proprio. La politica sociale deve essere una questione personale, ed è importante rimarcarlo per fare in modo che l’interesse collettivo diventi una questione individuale: il benessere di tutt3 passa da come le cose vengono viste personalmente, dall’informazione che si cerca, dai punti di vista che si risaltano, dalle decisioni che si prendono ogni giorno, dalle parole che si dicono e non.

La visione della politica come insieme di idee e azioni deve riguardare l’esperienza e la dignità della persona altra: la sfera personale è valida e necessaria alla costruzione dell’identità e dell’ideologia politica, ma c’è fortemente bisogno di sradicare una visione centrale di sé nel discorso sociale se si vuole davvero un cambiamento decisivo per tutt3. L’etnia, la classe, la razza, la religione, la sessualità, il genere, la posizione geopolitica, l’età, la disabilità, la specie, sono tutti elementi che vengono inclusi nelle decisioni politiche di qualsiasi paese e, soprattutto negli Stati che (ingiustamente) hanno più peso rispetto ad altri, queste decisioni sono relativamente in mano al popolo. Guardare al proprio interesse e cercare le soluzioni ai soli problemi personali porta all’avanzata populista nella maggior parte dei paesi democratici, la cui causa principale è l’evidente rafforzamento della visione individualistica data dal capitalismo. Alle ultime elezioni presidenziali negli USA, il 61% degli uomini bianchi e il 55% delle donne bianche hanno votato Trump, contro i rispettivi 19 e 10% di uomini e donne nere e 36 e 30% di persone ispaniche. Nel 2016 questo tipo di voto ha portato all’adozione di misure estremamente razziste e islamofobiche, nascoste da una politica nazionalista che lotta per la sicurezza della cittadinanza tramite provvedimenti discriminanti: la chiusura dei confini USA a chi proveniva da Iran, Iraq, Syria, Yemen, Sudan, Libya e Somalia; l’uscita dal fondamentale accordo di Parigi sul clima della nazione più ricca e inquinante del mondo; l’appoggio a uno Stato illegittimo e violento come Israele a discapito della Palestina. Lo stesso discorso si potrebbe fare per il Regno Unito analizzando gli election polls del 2019: le donne più giovani under 35, più preoccupate per la loro situazione economica e lavorativa, hanno mostrato maggior interesse politico verso il Labour Party della loro controparte maschile e, in generale, gli uomini sono molto più propensi a votare i Conservatives. Basare ogni tipo di lotta solamente sulla propria esperienza porta a movimenti che lottano solo a metà, come il femminismo bianco (solitamente basato sui problemi delle donne bianche borghesi abili) o quello che si dimentica delle oppressioni capitaliste, in cui non vengono incluse le esperienze di chi non ha gli stessi mezzi (sociali, economici, culturali e fisici), o ancora al fenomeno degli uomini neri che combattono quotidianamente contro l’oppressione razzista ma non riconoscono quella delle donne nere.

Molti attivismi sembrano voler continuare a lottare seguendo la scia del motto “il personale è politico”, per cui parlare di sé diventa un passo fondamentale e quasi imprescindibile per poter davvero prendere parte al movimento: chi ha il privilegio di poter parlare, chi ha la possibilità, la volontà e il coraggio, deve farlo. In realtà, però, si dovrebbe sempre più imparare a mettere da parte l’esperienza, la visione e il passato personale ogni qualvolta nel discorso vengano incluse più e diverse identità, per evitare di fare lo stesso gioco di esclusione e oppressione che spesso si subisce. La rabbia di non poter abortire liberamente deve includere la consapevolezza e la rabbia di chi invece ha dovuto e ancora oggi deve abortire per forza; il diritto a una sessualità libera non può essere amato/allo/etero-normata ma deve decostruire queste sovrastrutture, non solo il patriarcato e il bigottismo religioso; la laicità non può non considerare il rispetto e il diritto a credere e a praticare tutte le religioni esistenti, senza giudicare né deridere né credersi superior3; parlare del gender gap in ambito lavorativo non deve essere una lotta borghese e capitalista per allargare il tavolo dei potenti, ma deve pensare alle esperienze della maggior parte delle donne che perdono lavoro per la mancanza di una politica familiare ed economica e per quelle transgender che non lo trovano affatto. Centrare la propria visione porta poi ad avere, anche all’interno del femminismo, chi parla di “corpo in vendita o in affitto” quando si parla di prostituzione e sex work, che passa ovviamente in secondo (ma anche terzo) piano nei discorsi di denuncia, per una visione errata delle puttane come frutto del patriarcato.

La crescita individuale è il primo passo da fare nell’ambito di qualsiasi lotta sociale e culturale, ma è importante che il passo successivo sia staccarsi da sé e arrivare a far parte della collettività, di una visione più globale che include tutte le esperienze personali e tutti i bisogni delle persone: la politica interessa tutt3 e tutt3 dovrebbero interessarsi alla politica, ma bisogna iniziare a prendere le decisioni politiche (e non) spogliandosi dei privilegi che si hanno e iniziando a pensare alla società tutta, alla giustizia sociale, all’equità, all’importanza di una liberazione che coinvolga davvero tutte le persone in qualche modo oppresse.

Beatrice

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