Amatonormatività: tutto quello di cui abbiamo bisogno è scegliere

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“Cresci, trova qualcunə con cui passare la vita, sposati, creati una famiglia”: la ricetta della felicità che ci viene tramandata da secoli sembra essere questa. Niente risulta più importante della costruzione di una famiglia, dell’amore romantico (monogamo), della persona che si ama: tutto ciò che è al di fuori è secondario, quasi superfluo. Cosa siamo se non i nostri rapporti? Cosa vogliamo di più se non una relazione romantica?
Ogni cosa sembra spingerci a pensare che non possiamo non perseguire questi scopi nella vita, che sia impossibile rifiutare questo tipo di felicità, perché non c’è assolutamente niente di più bello che svegliarsi accoccolat3 la domenica mattina con ələ tuə amatə, fare l’amore e poi andare a controllare ələ bambinə che poi si metterà a saltare sul lettone. C’è un’immagine più felice di questa, secondo l’immaginario comune?
Il nostro valore pare essere legato alla nostra capacità di trovare qualcunə; il matrimonio segna il passo fondamentale per essere matur3, portando molte persone a provare senso di colpa e frustrazione per vedere coetane3 “realizzarsi” mentre loro no; e l’amore sembra portare a una costante ricerca dell’anima gemella, l’altra metà di noi. Questa fobia verso chi è single si traduce in una costante pressione a sentirsi in dovere di considerare questa ricerca come primo scopo della vita, semplicemente perché è normale volere l’amore (sempre quello romantico e sempre romantico secondo gli schemi sociali).

Nel 2012, in “Minimizing marriage: Marriage, Morality and the Law”, Elizabeth Brake, professoressa all’Università dell’Arizona, conia il termine “amatonormatività” spiegando che la parola

“consiste nel supporre che una relazione amorosa centrale ed esclusiva sia normale per gli esseri umani, in quanto essa è obiettivo universalmente condiviso, e che questo tipo di relazione costituisca la norma, in quanto dovrebbe essere preferito ad altri tipi di relazione. Il presupposto che le relazioni più importanti debbano essere di tipo matrimoniale o amoroso svaluta le amicizie e altri tipi di relazioni affettive […]”.

Questo tipo di pensiero coinvolge ogni persona di questa società: c’è chi sceglie di mettere la relazione romantica al primo posto in modo consapevole e chi no, chi non si adegua sentendo di essere sbagliatə e chi no. Oltre a escludere chi vuole semplicemente restare single, questa narrazione discrimina fortemente le persone aromantiche, cioè chi non sperimenta (in maniera parziale o totale) interesse romantico, ma anche le persone appartenenti a culture in cui il matrimonio e le relazioni non si basano sull’amore romantico, le non monogamie etiche e il poliamore. Sempre secondo Elizabeth Brake, infatti, il poliamore può essere un metodo alternativo e sovversivo all’amatonormatività, in quanto distrugge la visione esclusiva e possessiva della coppia e del matrimonio, aprendo la relazione a più persone e sradicando la concezione dell’avere una metà di sé da mettere all’apice della vita con più relazioni non gerarchiche. Infatti, sebbene tutt3 sappiamo che possiamo amare amic3, familiari, animali, idee, passioni, ci è stato insegnato che l’amore è unico, esclusivo, speciale, e chi prova a vedere le relazioni in modo diverso, chi cerca di non dare la priorità all’amore romantico, può sentirsi esclusə ed emarginatə da un mondo che sembra bombardarci con un unico messaggio.

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Anche per quanto riguarda le lotte per i diritti civili della comunità LGBTQIA+, uno degli slogan più famosi e utilizzati per diffondere il messaggio è “Love is love“, che però focalizza l’attenzione sul validare la relazione romantica legata all’orientamento piuttosto che l’orientamento in sé: è giusto lottare per la libertà di amare chi si vuole, ma l’orientamento sessuale deve essere riconosciuto a prescindere da una possibile relazione che ne può derivare. Si può essere, per esempio, sia gay che aromanticə, eppure si continua a usare un messaggio escludente verso una parte (seppur piccola) della comunità, e queste fallacie anche all’interno della comunità LGBTQIA+ riguardo l’asessualità e l’aromanticità sono principalmente dovute alla visione culturale amatonormativa (e allonormativa), secondo cui non si può che dipendere da qualcunə al di fuori, e, se non si desidera questo tipo di relazione, allora si è sbagliat3. Il nostro orientamento sessuale e relazionale viene sempre visto come dipendente dall’esperienza che abbiamo avuto al riguardo (da qui assunzioni agghiaccianti come “dici questo perché non hai mai provato”, “sei lesbica perché non hai mai provato il sesso con un uomo”, “sei asessuale perché non l’hai mai fatto con qualcunə bravə a scopare” e così via). Se non si prova, se non si ama, se non si tocca con mano la questione, allora non si esiste, non si sta pensando nel modo giusto, quando invece la validità di ciò che si sente di essere deve essere riconosciuta e rispettata a prescindere da tutto.

Oltre a tutti i danni che l’amatonormatività crea nelle persone, in realtà questa cultura va a rovinare anche la coppia monogama, simbolo di essa, in quanto crea pesanti aspettative sulla relazioni, pone regole già scritte su cui la maggior parte delle coppie nemmeno discute, e fa vedere ələ partner non solo come tale, ma anche come amicə, confidente, familiare, coinquilinə, supporto, il porto sicuro dove rifugiarsi. Molte relazioni vengono rovinate perché si carica l’altrə di un peso che deve riassumere tutti quei tipi di relazioni ritenuti inferiori ma di cui si continua ad avere bisogno: ələ partner diventa l’insieme di persone di cui ci si priva perché è giusto così, perché è ovvio tenere di più a ləi piuttosto che ad altr3. E da qui si segue anche la scala mobile relazionale, prestabilita anch’essa dalla società, secondo cui prima ci si conosce, poi ci si frequenta, ci si fidanza, si va a convivere, ci si sposa e si fa i figl3. L’amatonormatività fa dare tutto per scontato e può rendere ciò che in teoria è una scelta personale frutto della collettività, della storia patriarcale, di una visione poco ampia in cui, se non si rientra, porta a sentirsi in errore.


L’amore e la felicità possono essere ovunque, non solo nei rapporti interpersonali e, soprattutto, non solo in quelli romantici: sono in tutti i luoghi in cui ci sentiamo di poter riposare, dove riusciamo a chiudere gli occhi, sorridere e sentire che è esattamente così che deve andare. Basta cercare di sradicare i dogmi, liberarsi delle catene sociali e vedere le cose da un’altra prospettiva: quella della verità, la nostra.

Beatrice