Guida alla cultura della dieta: come riconoscerla e smantellarla

Cultura della dieta
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La cultura della dieta non ha una definizione ben precisa, perché racchiude tutto un insieme di comportamenti, credenze e narrazioni che permeano il nostro quotidiano al punto tale da essere diventata la normalità. In generale, essa può essere riassunta nel sistema binario della grassezza come cattiva e della magrezza come buona, ma i suoi modi di agire e presentarsi sono molteplici, a volte anche non immediatamente riconoscibili. Quali sono, quindi, le false e pericolose credenze che ruotano attorno alla cultura della dieta, e come possono essere confutate?

Il primo punto riguarda il cibo in sé e il modo in cui se ne parla: spesso gli alimenti vengono divisi in “buoni” e “cattivi”, dove i primi sono quelli che apportano poche calorie, e i secondi quelli che contengono elementi come i grassi o i carboidrati (che sono comunque essenziali per il benessere del corpo ma che vengono demonizzati). L’obiettivo è quello di provocare un senso di colpa legato al consumo di un determinato tipo di cibi, perché allontanano dalla forma fisica corretta, cioè quella magra. Questo meccanismo è funzionale all’arricchimento dell’industria del benessere, che altro non è che un’industria che guadagna grazie ai modelli corporei propinatici dalla cultura della dieta: bibitoni dimagranti, schemi alimentari ferrei, programmi di allenamento che promettono di bruciare quelle calorie, sono solo alcuni dei metodi che fanno leva su questa netta divisione tra giusto e sbagliato, tra magro e grasso, lucrando sulla stessa insoddisfazione per il proprio corpo che essi causano. Infatti, l’unico modo per non cadere in questi circoli viziosi è quello di ascoltare sé stess3 e i propri bisogni, abbandonando questo tipo di divisioni completamente infondate.

Spesso, inoltre, la cultura della dieta si nasconde dietro la giustificazione della salute: la patologizzazione dei corpi grassi, cioè la credenza per cui chi rientra nello spettro della grassezza ha o avrà sicuramente qualche problema di salute, ha una grossa influenza sulla percezione di queste persone nella società. I canoni corporei e i loro strumenti di misurazione sono fortemente sessisti, razzisti ed eurocentrici: è impossibile quindi riconoscere se un fisico sia in salute o meno tramite il loro utilizzo, è anzi fortemente discriminatorio. I parametri sono molteplici e tutti estremamente soggettivi, perciò, se a prima vista patologizziamo un corpo solo perché grasso, è evidente che i nostri occhi siano offuscati dai pregiudizi: esattamente come non si può diagnosticare nulla a una persona magra solamente guardandola, lo stesso vale anche per una persona grassa.

Cultura della dieta
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La cultura della dieta, quindi, attribuisce un valore morale non solo al cibo e alle azioni quotidiane, ma anche agli stessi corpi: una persona grassa sarà considerata pigra, svogliata, incapace di controllarsi, incurante di sé stessa; una persona magra sarà sempre sicuramente più ben vista e tenuta in una più alta considerazione. Tutto ciò si traduce nel cosiddetto thin privilege, letteralmente il “privilegio di essere magr3”: esso è il risultato più diretto della cultura della dieta, perché non riguarda solamente dei pregiudizi che abitano la mente delle persone, ma delle vere e proprie discriminazioni. Le persone grasse hanno oggettivamente moltissimi svantaggi nella società odierna, che sono diversi in base a come ci si posiziona sullo spettro della grassezza: i più comuni sono non riuscire a trovare vestiti della propria taglia nei negozi, o sentirsi dire che dimagrire è la cura a tutti i mali, ma ci sono anche persone che non vengono assunte o vengono licenziate dai posti di lavoro, per cui non esistono delle sedute adatte in luoghi pubblici o privati, a cui non viene fornita una diagnosi accurata perché non si va mai oltre il peso.

Le conseguenze della cultura della dieta sono positive solamente per chi ci guadagna sopra, perché il risultato generale comprende la discriminazione di una parte della popolazione, gravi carenze a livello sanitario e terreno fertile per lo sviluppo di disturbi del comportamento alimentare, specialmente tra le persone giovani. Non ci sono vantaggi, e se ci sono sono apparenti: sentirsi bene dopo un dimagrimento, infatti, è conseguenza diretta del fatto che si soffre meno dello stigma sul grasso, che è causato da questa stessa società e cultura.

La liberazione dei corpi passa anche e soprattutto dalla distruzione di quel sistema di pensiero per cui, tra essi, esiste una gerarchia ben precisa. Una volta smantellato questo preconcetto, slegato il cibo e il fisico da un valore morale e data a tutt3 una pari dignità a prescindere dalla forma, solo allora potremo chiaramente vedere le fallacie di una cultura in cui, al momento, siamo tutt3 immers3. Nel frattempo, quello che possiamo fare è allenarci a riconoscerla e a non lasciarci inghiottire da essa.

Giulia

La bellezza non è un valore: standard e discriminazioni

Standard di bellezza
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Nella società contemporanea, il grado di aderenza ai canoni estetici è ancora un fattore discriminante sia a livello sistemico che individuale. Le persone che non sono considerate “socialmente attraenti” sono oggetto di pregiudizi nell’ambiente medico, lavorativo e sociale, ma subiscono anche pressioni psicologiche tramite esperienze personali di bullismo, invisibilizzazione, desessualizzazione o ipersessualizzazione, per citare alcuni esempi. Questi fantomatici standard di bellezza ci dicono come apparire, che forma deve avere il nostro corpo, quale deve essere il colore della nostra pelle; giudicano quali nostre caratteristiche siano imperfezioni e quali no, mentre lucrano sulle insicurezze che essi stessi creano. Per quanto dipendano comunque da fattori socio-culturali, anche se lo sguardo occidentale ormai ha molta influenza in quasi tutto il mondo, essi affondano comunque le proprie radici nel patriarcato, nel capitalismo, nella grassofobia, nel razzismo, nell’abilismo e in ogni tipo di discriminazione sistemica presente nella società.

I canoni di bellezza, infatti, riflettono gli stereotipi di genere: il corpo delle donne viene modellato dallo sguardo maschile e considerato valido solamente in base al livello di attrazione che esso genera, o in base a quanto si mostri legato alla fertilità e alla maternità. Per questo motivo, oggi, i corpi femminili ideali sono generalmente magri, minuti, ma con tutte le curve “al punto giusto”. Al contrario, quello maschile deve corrispondere allo stereotipo della virilità, perciò l’uomo deve essere alto e muscoloso, con una figura che ispiri un senso di protezione nei confronti della donna debole. Come si può vedere, questi canoni estetici sono fortemente patriarcali e binari, per cui escludono tutta una fetta di persone queer i cui corpi non possono rientrarvi e ne sono, quindi, danneggiati.

Il capitalismo, poi, ha influito e influisce molto sulla definizione di questi standard, perché le industrie guadagnano soldi sulle insicurezze che provocano. Definendo “difetti” o “imperfezioni” delle normali caratteristiche corporee e facciali (come rughe, peli, cellulite, ecc), le persone – specialmente se donne o female presenting – sono portate a spendere per correggerle e assomigliare sempre più ai modelli propinati dai mass media e dalle pubblicità. Ovviamente, non c’è nulla di male nel prendersi cura del proprio corpo e truccarsi, ma è giusto contribuire a perpetrare un modello escludente, come quello della bellezza, e lucrare sulla mancanza di autostima e di autodeterminazione che esso produce? (Spoiler: no).

Tra le varie industrie del beauty, quella della dieta è anche una delle più dannose perché, proponendo regimi di cibo restrittivi e corpi ideali a cui conformarsi è un dovere, provoca – oltre che discriminazione – anche danni psicologici molto gravi che possono sfociare in disturbi. La grassofobia è una componente fondamentale di ciò che oggi viene considerato “bellezza”: essere grass3 significa essere condannat3 all’esclusione dall’ambiente lavorativo, ai pregiudizi in ambito medico, agli insulti e alla mancanza di degna rappresentazione perché essere bell3 – che è anche essere magr3 – è una prerogativa imprescindibile per essere vist3 e ascoltat3 nella società.

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La grassofobia, inoltre, affonda le sue radici nel razzismo: le persone di colore erano viste come amanti del cibo e mancanti di autocontrollo, perciò la connessione con l’essere grass3 e la conseguente discriminazione fu immediata. Comunque, i pregiudizi razziali hanno anche un altro tipo di influenza sugli standard di bellezza, poiché più la pelle è chiara, più la persona si avvicina all’apice della piramide. L’industria dei cosmetici rafforza questo pregiudizio, per esempio creando molto più make up adatto alla pelle bianca che alla pelle nera, alimentando il senso di inadeguatezza. A causa di questo colorismo, infatti, si sono diffuse delle tecniche di sbiancamento della pelle, specialmente nell’Asia dell’est, che mostrano come l’aderenza agli standard di bellezza eurocentrici si sia sempre più diffusa nel mondo (un altro esempio sono le discriminazioni subite dalle donne nere per i propri capelli).

Il fatto che gli standard di bellezza siano profondamente abilisti esclude a prescindere le persone con disabilità, che si allontanano da questa presunta “perfezione” che permette di vivere una vita dignitosa. Esse vengono completamente tagliate fuori da questa narrazione tossica, e questo ha un impatto molto forte sulle loro vite, tanto che spesso vengono desessualizzate e discriminate perché non corrispondono agli ideali che la società pone come attraenti.

Anche l’ageismo influenza notevolmente ciò che può o non può essere giudicato apprezzabile in una persona, e che perciò determina il suo status sociale: le rughe, per esempio, sono una delle caratteristiche che si viene più invitat3 a nascondere dall’industria cosmetica. In generale, le donne o persone female presenting, sono considerate belle quanto più la loro figura sembra infantile: un corpo minuto, privo di peli, capelli lunghi e mai grigi che non mostrano i segni del tempo.

Per tutti questi motivi, è impossibile non riconoscere che la bellezza, in quanto valore, deve essere smantellata: non si possono considerare degne le persone quanto più corrispondono a degli ideali che si portano dietro secoli di discriminazione. Per quanto oggi siano stati fatti dei passi avanti in questo senso, essi sono stati volti ad allargare questi standard che, invece, andrebbero abbattuti: non si parla, infatti, di gusti personali (anche se è doveroso chiedersi: quanto essi sono influenzati da questi continui bombardamenti?), ma di dare dignità a tutt3, togliendo ogni tipo di riferimento, specialmente se oppressivo.

Giulia