#MeToo: storie di violenza intorno al mondo

Illustrazione di Curious Lauren

Il movimento Me Too è nato nel 2006 per opera di Tarana Burke, un’attivista statunitense, con l’obiettivo di aiutare le persone nella sua stessa condizione di survivor e di costruire una comunità di reciproco supporto contro la violenza sessuale. Solamente nel 2017, però, il movimento ha acquisito grande fama: molte attrici hanno iniziato a denunciare il produttore Harvey Weinstein per molestie e violenze. In particolare, un tweet di Alyssa Milano ha lanciato l’hashtag #MeToo invitando tutt3 l3 su3 followers che erano stat3 molestat3 o che avevano subito abusi a commentare “me too”, “anche io”. In sole 24 ore, l’attrice ha ricevuto migliaia e migliaia di risposte, sia da persone famose che non, lasciando intendere il fatto che moltissime avevano – purtroppo – una storia di questo genere da raccontare e che leggere altre storie simili aveva dato loro il coraggio di condividere anche la propria. Da quel momento, il movimento #MeToo ha assunto una portata globale: è diventato un riferimento per tutte le donne e le persone nel mondo che hanno sperimentato questo tipo di dolore e si è diffuso rapidamente, declinandosi anche a seconda dello stato, della cultura e della storia personale della voce di chi ne parla.

In Francia, l’hashtag è stato tradotto come #BalanceTonPorc (“denuncia il tuo maiale”) a seguito del caso Weinstein, immagine considerata di maggiore impatto (anche se è doveroso precisare che usare la parola “maiale” come insulto è estremamente specista). Nell’ultimo mese, inoltre, è nato il #MeTooInceste per denunciare gli abusi subiti nell’ambito familiare da bambin3. La catena di accuse si è sviluppata a seguito di quella che Camille Kouchner, nel suo ultimo libro, ha mosso nei confronti del patrigno Olivier Duhamel che ha abusato per anni di suo fratello gemello, allora 14enne.

In Giappone, Yumi Ishikawa ha lanciato l’hashtag #KuToo nel 2019 contro l’obbligo che le donne hanno di indossare le scarpe col tacco sul posto di lavoro. I due movimenti sono accomunati dalla difesa dei diritti delle donne che, nello stato asiatico, sono oggetto di discriminazione per l’obbligo di vestirsi in un certo modo, cosa che non accade ai rispettivi colleghi uomini.

Nell’ambito della comunità islamica, la giornalista Mona Elthaway ha raccontato la sua esperienza in merito utilizzando l’hashtag #MosqueMeToo, diventato poi virale. Utilizzandolo, in molt3 hanno raccontato la propria storia di molestie e violenze avvenute durante l’hajj, il pellegrinaggio verso la Mecca, o nei luoghi sacri. Oltre al tabù dell’argomento violenza, molt3 affermano di non aver parlato prima a causa dell’islamofobia dilagante, per non dare al mondo un’altra ragione per odiare chi pratica la loro religione.

Nel 2019 è nato anche il tunisino #EnaZeda, dopo la foto postata sui social da una 19enne che ritraeva un uomo parzialmente nudo in una macchina parcheggiata vicino al suo liceo che si stava presumibilmente masturbando. L’uomo in questione si è poi scoperto essere Zouheir Makhlouf, deputato del parlamento. Questo caso ha portato alla luce numerosissime altre molestie subite dalle donne tunisine che hanno usato proprio questo hashtag per raccontarsi.

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La campagna #MeToo è approdata anche in Cina con l’hashtag #RiceBunny accompagnato dalle emoji di ciotole di riso e conigli che, insieme, si pronunciano “mi tu”. Il cambio di nome è dovuto al fatto di dover aggirare la censura online poiché il primo hashtag, #MeTooInChina, era stato bloccato. L’uso delle immagini e di suoni omofoni sono tecniche che erano già state largamente utilizzate per potersi esprimere liberamente sui social, e grazie a esse anche in Cina molte persone hanno avuto la possibilità di condividere le proprie esperienze di abuso.

In Nigeria, il caso che ha portato a parlare diffusamente di #MeToo è stato quello di Busala Dakolo, violentata due volte da Biodun Fatoyimbo, pastore venerato da migliaia di fedeli. Le sue accuse hanno ispirato una protesta fuori dalla sua chiesa e molte donne hanno iniziato a raccontare le loro storie sui social al grido di #ChurchToo, denunciando la cultura di retaggio fortemente patriarcale che costringe le vittime al silenzio. Infatti, il movimento era iniziato anche prima di questi fatti con l’hashtag #ArewaMeToo che era stato bloccato con l’arresto di una delle sue più importanti attiviste.

Nel 2018, sul modello del #MeToo, in Germania si è diffuso anche il #MeQueer, usato dalle persone queer per denunciare gli atti di violenza, gli insulti e le microaggressioni a cui sono costrette a sottostare quotidianamente. Il discorso, quindi, viene modellato anche in base alla discriminazione che si subisce, ma il meccanismo alla base rimane lo stesso: la solidarietà e l’aiuto reciproco nel raccontare qualcosa che fa tremendamente soffrire.

Questi sono solamente alcuni esempi di come il movimento si sia declinato in molte parti del mondo e in molti altri ambiti. Infatti, se ne potrebbero citare ancora, come l’italiano #QuellaVoltaChe o l’hashtag #YoTambien usato in Messico, Spagna e America Latina. Nonostante questo coinvolgimento globale, però, bisogna ricordare che ci sono state anche delle importanti critiche mosse al Me Too – che ovviamente non sono quelle di uomini bianchi privilegiati che lo definiscono, per esempio, una “caccia alle streghe”. Le critiche serie sono state mosse in un’ottica intersezionale, per cui il movimento dà risalto alle singole esperienze piuttosto che sottolineare la componente sistemica della discriminazione: per esempio, la voce delle persone transgender – le maggiori vittime di violenza sessuale – viene decentrata, mentre quella delle persone disabili sembra essere invisibilizzata data l’assenza di discussione che le riguarda e il fatto che a Hollywood il discorso si è mantenuto più che altro sulle molestie in ambito lavorativo, lo stesso da cui esse vengono spesso escluse a causa della discriminazione abilista.

Il Me Too non è, quindi, esente da problematiche che riguardano la questione del privilegio. Però, nonostante ciò, il modello creato da questo movimento rimane estremamente importante perché, adattato al mondo in cui si vive, alle marginalizzazioni sperimentate e alla cultura in cui si è immers3, la sua componente più importante rimane la solidarietà, l’ascolto dell’altrə, il credere alle sue parole.

Giulia